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Alfonso I d'Este (1476-1534) è un caso esemplare del rapporto strettissimo esistente, nell'Italia rinascimentale, tra mecenatismo artistico e attività politica: il terzo duca di Ferrara non fu solo uno degli indiscussi protagonisti della storia europea, ma anche uno dei più illuminati e originali mecenati delle arti del suo tempo, capace di porre Ferrara al centro della vita culturale italiana, potendo contare su una serie di "artisti di corte" di indiscusso prestigio (Ercole de' Roberti, Antonio Lombardo, Dosso Dossi) e rivolgendosi all'esterno ai massimi protagonisti della maniera moderna (da Raffaello a Fra Bartolomeo, da Michelangelo a Tiziano). Si delinea il profilo di un committente d'eccezione, in grado di unire una profonda passione per le arti alla capacità di piegare pittori, scultori e miniatori ai propri fini politici: così lo studio dei marmi di Antonio Lombardo viene letto come una risposta alla congiura ordita da don Giulio d'Este, le miniature del Libro d'ore di Alfonso I come una testimonianza della vera e propria guerra per immagini ingaggiata con papa Giulio II, mentre il Cristo della moneta di Tiziano diventa un'arma ideologica nel duello che ha contrapposto il duca estense a Leone X.